Home > Tradizioni > Come eravamo > Il fidanzamento e il corredo della sposa

"... verso i diciassette, diciotto anni si poneva, con certa urgenza, il problema della sistemazione. I ragazzi cominciavano ad abbandonare i giochi ed a seguire qualche ragazza, pė ngaggjarsė. La scelta, quando non era stata gią fatta e contrattata ( specie per le donne ) dai genitori, cadeva, quasi naturalmente, sulle ragazze del vicinato o del quartiere, delle quali si conoscevano meglio i costumi e le condizioni famigliari ..."


Per le poche possibilitą di scelta in materia di lavoro o di occupazione, tanto li guagljunė quanto li ffigljolė venivano avviati ai lavori dei campi per aiutare i genitori nei fondi di loro proprietą. Pił spesso, i giovani erano mandati ad arč oppure a la fabbrėchė o a lu cėstariellė, per imparare un mestiere da nu mastrė, che si comportava con loro da vero e proprio tiranno. Le ragazze, se non diventavano figljolė dė forė e rimanevano figljolė dė jindė, venivano mandate a la maestrė per imparare i lavori di cucito e di ricamo. Pochissimi seguivano la via degli studi: figli di ricchi e di borghesi. Ma anche i contadini mandavano qualche figlio a scuola per elevare la condizione sociale della famiglia.

Di solito, era il primogenito o un figlio malaticcio, inadatto ai lavori dei campi, che veniva chiuso in seminario o in convento, dove facévė li scolė. Di qui usciva per diventare maestro o avvocato o vi rimaneva per farsi frate o prete, onorando la famiglia. La vita degli adolescenti andava avanti cosģ per alcuni anni, in una condizione esistenziale in bilico tra quella dell’infanzia e quella della maturitą. Verso i diciassette, diciotto anni si poneva, con certa urgenza, il problema della sistemazione. I ragazzi cominciavano ad abbandonare i giochi ed a seguire qualche ragazza, pė ngaggjarsė. La scelta, quando non era stata gią fatta e contrattata ( specie per le donne ) dai genitori, cadeva, quasi naturalmente, sulle ragazze del vicinato o del quartiere, delle quali si conoscevano meglio i costumi e le condizioni famigliari. Le pił corteggiate erano li figljolė dė jindė, che apparivano pił educate, gentili e belle.

Anche se i due innamorati si conoscevano fin dall’infanzia, dichiararsi era sempre un fatto problematico. Il giovane cominciava a zėnnjč, a trasmettere sguardi furtivi alla ragazza, ad appostarsi per farsi notare il pił possibile. La fanciulla, che capiva al volo le intenzioni dell’innamorato, con segni e sguardi contenuti faceva intendere di sentire e ricambiare il sentimento. Il muto, ma espressivo dialogo continuava fino a quando i due non fossero riusciti a dichiararsi apertamente. Gli incontri e le conoscenze erano facilitati da li zzanzanė, che si adoperavano pė ccumbėnč lu matrėmonjė, illustrando alla madre della ragazza, mentre il padre veniva tenuto all’oscuro di tutto ancora per diverso tempo, le buone intenzioni, le qualitą e le possibilitą dell’aspirante sposo.

Strappato il tacito consenso della madre, la ragazza era in grado di parlare con l’innamorato con una certa libertą, ma, con i tabł vigenti in passato, i due giovani erano costretti a far salti mortali per incontrarsi da soli e scambiare, di nascosto, qualche bacio. Il giovanotto attendeva per ore, in una vicina trasonnė, l’arrivo della fanciulla, che riusciva ad evadere, in qualche modo, la sorveglianza materna, ed insieme si appartavano sottė a nu mugnalė per parlare indisturbati. I pił intraprendenti riuscivano ad allontanarsi fin dietro a lu Castiellė,  lu Pundonė, a la Stramuralė lu Puzzillė, a li sģerre sop’a la Torra Včcchiė, dove facévėnė li ttratorė in libertą. Non mancavano le serenate, che il giovane portava alla ragazza, la quale ascoltava, sospirando dietro il balcone, le canzoni dell’innamorato accompagnato da chitarra e mandolino. Né erano infrequenti i getti d’acqua sui malcapitati disturbatori della quiete da parte dei vicini di casa o dell’inferocito genitore, che poi ndummacävė la figlia. La messa domenicale in cattedrale e le cerimonie religiose pił solenni costituivano le occasioni d’incontro pił facili e legali. Il ragazzo si appostava a ppundč, all’ingresso della chiesa, la ragazza che arrivava con le amiche, seguita , ad una certa distanza dalla madre. La pundätė continuava all’interno con sguardi che s’incrociavano da una navata all’altra.

Giungeva cosģ il momento di ufficializzare le cose e, col campo preparato dalla sensale e dalla madre, il giovane aspirante mannävė l’ultima ambasciata alla famiglia della zitė, che , oramai d’accordo, acconsentiva ala fidanzamento. Il futuro sposo trasévė in gäsė e poteva parlare con la ragazza sull’uscio dell’abitazione e a distanza … di sicurezza, sotto lo sguardo di tutta la famiglia. Ammesso definitivamente in casa, dopo un certo tempo, portava i suoi genitori per chiedere la mano della sposa. In quella e in successive occasioni le due famiglie si accordavano sulla dote, sul corredo, sul mobilio, sulla divisione delle spese per il matrimonio e sulla sua data. Nella futura casa e nella costituenda famiglia la zitė portava la dote, in beni immobili o in denaro, e il mobilio: lu lģettė di ferro battuto o in lamiera decorata; le quattro tavole della lettiera; lu sacconė con la paglia di gränėdinjė; lu matarazzė di lana; due culėnnčttė; due comņ; il crocifisso e i quadri con immagine sacre da appendere sul letto; alcune sedie; vari oggetti di vetro e di creta e la rämė, una batteria completa di pentole di rame e di utensileria da cucina, quasi mai messa in uso, che costituiva un vero e proprio patrimonio la cui vendita, nei momenti di estremo bisogno della famiglia, rappresentava un segno evidente della bassa fortuna e miseria in cui essa era caduta. La sposa portava inoltre il corredo di uno o pił parati ( rrobbė a unė, a ccinghė, a ddiecė, etc. etc. ), comprendenti lėnzčlė, guanciali, chičchė, turnalģettė, cuvčrtė ( di cui una imbottita ), ed ancora vandėsinė, tuvagliė, facciulčttė, faccėlėttonė, cammisė, maglie, mutande, sottane, cazčttė, musälė e mappinė, capi di biancheria e di abbigliamento, che venivano cunzėgnätė ed esposti con grande sfarzo, alcuni giorni prima del matrimonio, e visti da parenti, amiche e vicine della zitė. Lo sposo portava, invece, l’armadio ( lu stuponė ), il tavolo, la credenza o la cristalliera, lu tumbagnė, lu laghėnaturė, i piatti, la sėtéllė e lu farnärė, lu vrascģerė di ottone o di ferro, lu daccialardė, le posate ( fėrcinė, cucchjärė e ccurtģellė ), alcune provviste alimentari e i capi di biancheria e di abbigliamento, tra i quali il pił importante era la mandčllė. Gli accordi e gli impegni assunti dalle famiglie in questi contratti matrimoniali dovevano essere scrupolosamente osservati e, se non portavano ( come spesso avveniva ) alla rottura del fidanzamento, si concludevano ben presto con le nozze.


Fonte:
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 “Ascoli Satriano, storia, arte, lingua e folclore” di Francesco Capriglione e Potito Mele 1980
- https://www.lacooltura.com/2015/11/sposalizio-il-matrimonio-di-una-volta/
- https://www.grottaglieinrete.it/it/cera-volta-corredo-grottaglie/
- http://www.amicidicapracotta.com/2014/04/29/le-doti-delle-spose-nellanno-1732/
- https://www.altosannio.it/la-dodda-dote-di-maria-delli-quadri/


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