il 14 Gennaio, festa di San Potito
Martire.
La sua celebrazione è collegabile ai più antichi culti mediterranei
propiziatori della fecondità e della fertilità della terra con il
ritorno della natura alla vita, nel rigoglio delle piante e nello
splendore della luce e dei colori primaverili. Con essa si esprimeva
la fede degli Ascolani nella protezione del Patrono contro una delle
maggiori e peggiori calamità del paese, la siccità. A Mons. Antonio
Sena, Vescovo di Ascoli Satriano, va il merito del più decisivo e
definitivo impulso dato al culto di S. Potito, che acquistò una sempre
maggiore e crescente intensità sia religiosa che popolare. Fu lui ad
ottenere il 23 dicembre del 1873, dal Vescovo di Tricarico (MT) Simone Spilotros, la reliquia dell'avambraccio del Martire e a dichiarare S.
Potito patrono principale e unico della città. Oltre che nel suo dies
natalis il Martire viene celebrato nuovamente nella seconda decade di
agosto, per farvi partecipare gli emigrati che trascorrono in paese le
loro ferie ferragostane. La festa invernale del 14 Gennaio, come è
ovvio, ha sempre avuto e conserva una connotazione più propriamente
religiosa con la celebrazione del solenne Pontificale del Vescovo.
Tuttora il 12 Gennaio, durante i Primi Vespri solenni in onore del
Santo, avviene una sobria ma suggestiva processione: il busto argenteo
del Martire preceduto dal Vescovo, sfila sotto le navate della
Cattedrale, partendo dall'altare sul quale è esposto, sosta brevemente
davanti all'antica cappella, nella quale si ammira il bel quadro della
gloria di S. Potito, e viene posto sul trono (
pëtagnë )
nel presbiterio. Il rito
religioso si conclude con il tradizionale bacio della reliquia del
braccio e lo sparo del “Ciuccio” di San Potito ( sagoma di asino in
cartapeste imbottito di fuochi d'artificio ). Nel giorno precedente la
Festa si usa fare “vigilia”, seguendo le consuetudini che sono anche
dell'Immacolata e del Natale, con l’astensione dal mangiar carne,
compensata dal consumo di frittelle (péttëlë, pizzëfrittë), baccalà,
anguille e capitone. Si è pressoché estinta l'usanza di accendere dei
falò (fanoië) nei vari rioni del paese, dove veniva accatastata una
massa enorme di legna in mezzo ad una fittissima folla che circostava
in festa. La festa estiva è decisamente più popolare e si articola, di
norma, in tre giornate: la prima s'incentra sulla maestosa processione
per le vie principali della città, che avveniva in passato dopo l'asta
per ottenere di portare il Santo (lu sandë) e il paliotto (li mmazzë);
la seconda sulla celebrazione della Messa Pontificale; la terza nella
Messa per tutti i devoti con bacio della reliquia, negli spari di
mortaretti e negli spettacoli pirotecnici con cui essa si conclude.
Durante la sagra paesana il popolo passeggia (fa lu struscë) sotto le
arcate illuminate (l'apparëtë), si ferma alle bancarelle per
acquistare il torrone (la copétë), ascolta i brani d'opera eseguiti
dalla banda musicale e assiste alle altre attività. La fede popolare
attribuisce a S. Potito una serie di fatti prodigiosi e lo ritiene
particolarmente potente contro i ricorrenti terremoti e la siccità. A
lui si rivolgono annualmente per impetrare la pioggia benefica
primaverile per i campi (na bèll'acquë dë maggë). La devozione
popolare al Santo trovava una semplice espressione anche nelle molte
edicole votive, che decoravano le facciate delle case, e nell'usanza
di imporre il nome 'Potito' ad almeno un elemento di ogni famiglia,
maschio o femmina che fosse (la consuetudine è andata decadendo
progressivamente).

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