Home > Tradizioni > Come eravamo > Lavori stagionali: la coltivazione dei cereali

aratura con monovomerola mietiturala gregnëla trebbia - fase di lavorazionela trebbialu cambaniellëli mmétë

Preparazione terreno, semina, mietitura e trebbiatura del grano

I terreni destinati alla coltivazione dei cereali venivano preparati con tre arature: l'arrussaturë per sgrossarli, la scjascjaturë e l'aratura vera e propria, più profonda, effettuata anticamente pë lu spundonë e in seguito con un monovomero trainato da buoi o da cavalli. Dal mese di ottobre al mese di dicembre, dopo aver imporcato per bene il terreno e aver ngavëscjätë le sementi, si passava alla semina dei campi, a mano, gettando il seme a spaglio con un movimento semicircolare del braccio e del busto. A gennaio si sarchiavano le aree seminate, pë lu zappullë, impegnando diverse persone guidate e sorvegliate da lu capurälë o sopastandë. Le donne, sempre in maggioranza, jevënë a la pungènde, la scerbatura che si effettuava in marzo-aprile, pë scjuppè la sëmëstranjë dal seminato. A maggio, s'annëttävë definitivamente il terreno, ormai pieno di spighe verdi, e si aspettava giugno per iniziare la mietitura. Intanto si stipulavano i contratti con la manovalanza: mietitori e carrettieri, che venivano assunti per la raccolta del grano. Li mëtëturë lavoravano in gruppi detti paranzë, composte da quattro operai, che procedevano trasversalmente sul campo, e da lu lëgatorë o lëgandë, il quale raccoglieva li jìermëtë, tagliati dai compagni, e li univa insieme formando la gregnë, legata con un manipolo di spighe. Tutti i mietitori infilavano dei cannelli alle dita della mano sinistra, per proteggerle dai tagli delle falci, ed indossavano la vandärë e un bracciale di pelle per non pungersi sulla rëstoccë. Avevano diritto ad un'ora di pausa, a mezzogiorno, quando mangiavano, dind'alu gravättëlë ( scodella in legno o in terracotta ), la loro colazione consistente in acquasälë di pomodori con aglio, cipolla ed olio, e bevevano vino da una fjiaschë di legno a doghe. I covoni venivano accatastati, sul campo, in aussìellë, con le spighe disposte all'interno per permettere lo scolo di eventuali acque piovane e poi venivano trasportati sop'a l'arje, dove venivano accatastati in enormi biche in attesa di trebbiarli. la trebbiatura avveniva, pë la trrèzzë di cavalli, che al centro del grande cerchio di grano, giravano ripetutamente sulle spighe, calpestandole con gli zoccoli. Man mano che i cavalli pestavano le spighe, il grano pestato veniva ammucchiato usando pale di legno, in attesa che venisse ventilato. La trebbiatura poteva avvenire anche per mezzo di un grosso rullo, trainato da cavalli, che frantumavano le spighe girandovi sopra pesantemente, oppure col metodo più antico, con le mazze. Le spigolatrici usavano tutti questo metodo e, battendo sul mucchio di spighe pë li mmazzë o pë lu manganìellë, "ammazzucàvënë lu ggränë". Il grano trebbiato veniva poi ventilato, su alture o luoghi esposti a venti ed alle correnti d'aria, nelle ore pomeridiane prima del vespro, "a la frëskurë" e successivamente passato al setaccio, pë lu färnarë e ppe lu cërnicchjë, sopra enormi teloni "ràkënë", prima di immagazzinarlo nelle fosse. Con l'avvento della meccanizzazione, per trebbiare si usava la trebbia, sull'aia pubblica della collina Serpente, i contadini usavano erigere ognuno il proprio pignonë; vi piantavano sulla cima un segno di riconoscimento e lo facevano registrare dal vigile campestre del comune, in attesa del proprio turno per la trebbiatura.Terminata la trebbiatura del grano, la paglia, che era utilizzata per alimentare gli animali, le cucine e i forni, veniva abbicata in alti e monumentali pagliai "li cavallë" di forma quadrangolare e "li mmétë" di forma irregolarmente conica. Per sollevare la paglia per costruire li mmétë, adoperavano una sorta di gru primitiva e rudimentale "lu cambaniellë" il cui braccio era perfettamente equilibrato: lungo e sottile da un lato, per raggiungere punti lontani, tozzo e pesante dall'altro, per bilanciare il grosso peso da sollevare. La costruzione dei pagliai, avveniva in posti riparati dal vento, pianeggianti, non ombreggiati, era una delle operazioni più delicate e pericolose di tutta la stagione della raccolta, che volgeva ormai alla fine. Dopo la raccolta della paglia, non restava che bruciare le stoppie, nelle sere serene della tarda estate, per purificare i campi e prepararli alla nuova semina. Prima di appiccare il fuoco a li rrëstuccë, si tracciavano i solchi delle prëcésë e dei contrafuochi, affinché le fiamme non invadessero i campi altrui.


Fonte:
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Ascoli Satriano, storia, arte, lingua e folclore” di Francesco Capriglione e Potito Mele 1980


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