Home > Tradizioni > Come eravamo > Il falò: ' la fanojë '

Tra Dicembre e Gennaio ricorrono le Vigilie dell’Immacolata, di Santa Lucia, di Natale e di San Potito, durante le quali, nei rioni di Ascoli Satriano si accendevano i tradizionali falò (oramai si è persa la tradizione). Tutta l’organizzazione era ad esclusiva prerogativa di noi ragazzi, che, con molti giorni di anticipo, ci impegnavamo per la buona riuscita dell’avvenimento. Alcuni, muniti di vassoio con su il santino ‘la guantiérë pë la fegurë’, giravamo il quartiere chiedendo offerte che servivano per l’acquisto di fascine e legna ‘fraschë, salëmèntë e cëppunë’. Altri si trasformavano, occasionalmente, in raccoglitori e andavano a tagliare e sradicare, lungo le siepi dei viottoli campestri, piante e arbusti di rovo e di biancospino ‘ruvëtëlë dë mariculë, dë spinapulëcë, de chiachiuscënë’.

Gli sterpi, legati in voluminosi fastelli, erano trascinati lungo Santa Maria del Popolo e Piazza Cecco d’Ascoli ( l’attuale Piazza Giovanni Paolo II ) sino ai siti dove si innalzavano le pire, destando nostalgia negli adulti che ricordavano il loro tempo. Ogni gruppo orgoglioso vantava la propria catasta, ritenendola più imponente delle altre e alla fine lo spirito contradaiolo coinvolgeva anche i grandi, che aggiungevano al mucchio qualsiasi oggetto di legno inutilizzato.

La sera conclusiva della Novena, dopo la funzione in chiesa, si accendevano i falò che diffondevano nei vicoletti ‘li trasonnë’ vividi bagliori. Molta gente si assiepava intorno, per godere del gradevole tepore che mitigava un po’ il pungente freddo dicembrino. Le fiamme, alimentate dal vento, salivano maestose, e ogni anno si temeva per i fili della corrente elettrica.

Lo schioppettare delle frasche creava allegria. Qualcuno sparava petardi e tric-trac, mentre le ragazzine, come la fata Smemorina, disegnavano volute con le stelle filanti 'li pisciaunnèllë'.

L’entusiasmo seguiva l’andamento delle vampate: man mano che si affievolivano, diminuiva e con esso anche il numero degli spettatori. Per noi, però, non finiva lì perché ci sfrenavamo in danze indiane. Le donne, frattanto, riempivano i bracieri che portavano in casa; poi, con tutta la famiglia seduta intorno ad esso, raccontavano ai più piccoli le favole ‘li cuntë dë zija Puntë’. Tutto si concludeva con l’arrostire, sulla rimanente brace, fave e ceci che sgranocchiavamo compiaciuti, pensando già alla prossima vigilia e ad un falò ancora più grande e bello.


Fonte:
- Cummë jucammë na votë ( Giochi e tradizioni Ascolane ) di Franco Garofalo


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