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"... ancora pochi anni fa, le nascite, considerate, per altro, una grande gioia per la famiglia e una grazia di Dio, avvenivano nella cornice di generale miseria del paese. La gestazione veniva portata avanti senza alcun controllo medico e sotto la sola consulenza della vammänė, la quale assisteva la donna  fino al momento del parto che aveva luogo, di norma, in casa ..."


Le tradizioni e le usanze civili resistono ancor meno di quelle religiose all’urto dei moderni modi di vivere, che hanno scompaginato usi secolari. Il bambino che viene al mondo nasce, oggi, in clinica, dove trova tutto ciņ che gli occorre per i suoi primi giorni di vita: il cestino inghirlandato pieno di tutta l’attrezzatura per la sua igiene personale, alimenti vitaminizzati, coperte, vestitini, schiere di parenti ed amici che gli offrono calore umano, medici e infermieri al servizio della sua salute. La sua camera viene riempita di fasci di fiori, di regali, di vestitini, di giocattoli, di pupazzi comprati nelle migliori boutique per bambini. Ben in evidenza, tra tutti i regali, la culla, il seggiolone o il carrozzino donati dai nonni.

Ancora pochi anni fa, le nascite, considerate, per altro, una grande gioia per la famiglia e una grazia di Dio, avvenivano nella cornice di generale miseria del paese. La gestazione veniva portata avanti senza alcun controllo medico e sotto la sola consulenza della vammänė, la quale assisteva la donna  fino al momento del parto che aveva luogo, di norma, in casa. La fémmėna gravėtė era oggetto di grande rispetto da parte del marito, della famiglia e del vicinato. Tutte le su voglie venivano esaudite onde evitare che il bambino ne portasse, sulla sua pelle, i segni visibili e indelebili.

Con grande gioia sua e di tutta la famiglia, la donna, dopo i regolari nove mesi di gestazione, sė spėcciävė, jévė accattč lu criaturė. La felicitą aumentava se, trattandosi del primo figlio, il neonato era un maschio destinato a continuare lu stėrpignė, mentre si accompagnava ad una certa delusione se era una femminuccia, fonte di future grandi preoccupazioni. Fatto molto disonorevole per tutto il clan era la nascita di un primogenito in anticipo sui normali nove mesi. Tutti i parenti si sentivano in diritto di troncare i rapporti con la donna sfacciata e scostumata. I rintocchi festosi della campana della Misericordia annunciavano al paese il lieto evento e tutti i conoscenti si congratulavano con i genitori e con i loro parenti.

Appena nato, il bambino veniva letteralmente immobilizzato nelle fasce e la mamma e le nonne esibivano, con orgoglio, il corredino che avevano preparato per lui durante i mesi di gestazione: la mbassandė, pėdarolė dė jindė, pėdarolė dė cuttunginė, fassė, pannulinė, fassadorė, culazzčllė, cacciamanģellė, cammėsčllė o cammėsulinė, sacchetģellė. Sotto le fasce portava, appeso al collo, l’abbėtinė con l’immagine della Madonna del Carmine o di un santo per essere preservato dal malocchio e dall’ammģdjė. Ben presto, circa un mese dopo la nascita, veniva battezzato in chiesa e, cosģ, aveva il suo primo contatto ufficiale col mondo e con la societą. I genitori organizzavano una grande festa in suo onore con musica e balli, canestri di taralli e dolci, bottiglie di rosolio. Con la cerimonia del battesimo, i padrini ( i compari di anello dei genitori, se si  trattava del primogenito ) assumevano sotto la loro tutela e protezione il bambino alla cui educazione erano tenuti al pari degli stessi genitori. Ricevevano in cambio rispetto e obbedienza assoluti, secondo le norme del sacro vincolo dė lu sangiuvannė. Nel mezzo della festa la vämmanė girava, tra gli invitati, con il bambino in braccio per farlo baciare sulla fronte o sulle guance, ricevendo in mano delle offerte in denaro che la ricompensavano dell’assistenza e delle cure rivolte al neonato e alla madre.

Durante il periodo dello svezzamento, se la madre non poteva allattarlo, per mancanza di latte dal suo seno o per i suoi impegni di lavoro in campagna, il bambino veniva portato da una mammė dė lattė, dalla quale riceveva il necessario nutrimento. Questa era tenuta e rispettata, per tutta la vita, come una vera madre e il fanciullo diventava frätė dė lattė dei suoi figli ai quali era legato da stretti rapporti di affetto e solidarietą. Col passare dei mesi il bimbo cresceva e cominciava a far capricci, ma si provvedeva subito a calmarlo mettendolo a dormire per ore nella navģzzėchė, con una abbondante tazza di papagnłolė. A sette mesi, di norma, sč cacciąvėnė li pģedė e il piccolino veniva finalmente liberato dalla fasce che lo immobilizzavano. Cominciava, allora, a muoversi per terra per irrobustire i muscoli e imparare a camminare, da solo o con l’aiuto dė li trandėlė, tenuti su dalla mamma, o del girello. Variava anche la sua alimentazione, invece del latte mangiava pappine di pänė cłottė pė l’łogliė, pänė mbussė a lu vinė e, col tempo , acquisiva definitivamente le abitudini alimentari della famiglia. Appena libero e del tutto padrone dei suoi movimenti, il fanciullo veniva allėndätė in mezzo alla strada, dove trascorreva le sue giornate a giocare con i piccoli compagni del rione.

Verso i tre anni veniva mandato a la scolė, un asilo alla buona tenuto da li bbėzzochė, che gli insegnavano li ccosė dė Ddģjė. A sei anni cominciava a frequentare la scuola elementare e, dopo la puccia pėlosė (la prima elementare), se i  risultati non erano buoni e promettenti, il suo destino era segnato: forė o a lu mastrė. A otto anni, dopo un corso di duttrinė, riceveva la prima comunione assieme agli altri fanciulli della parrocchia, vestiti di bianco da piccoli ufficiali o alla marinara, e alle ragazzine, tutte vestite con bianchi abiti da sposina. A questa festa seguiva, dopo alcuni anni, l’altra della cresima, che rappresentava l’ultima occasione di grande gioia prima del futuro, ma ancora lontano matrimonio. Con la cresima l’adolescente riceveva lu sckaffė dė munzėgnorė e veniva posto sotto la tutela di un altro compare, al quale era tenuto ad offrire, secondo la tradizione e come massimo segno di rispetto, la parmė, la domenica delle Palme di ogni anno. Dal compare riceveva, invece, come riconoscimento della sua maturitą un orologio che esibiva orgogliosamente al polso. Dopo quest’ultima occasione di gioia e di spensieratezza si apriva per lui e per i genitori, con tutta la sua drammaticitą, la lunga parentesi della vita alla ricerca di un lavoro onorato e di un’occupazione stabile, per la sicurezza del suo futuro.


Fonte:
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“Ascoli Satriano, storia, arte, lingua e folclore” di Francesco Capriglione e Potito Mele 1980
- http://blog.bimbonaturale.org/fasciare-il-neonato/
- https://www.likesx.com/girello-anni-40-50-pesaro-pesaro-urbino/
- https://www.miglioreculla.it/guida/culla-antica-una-selezione-di-bellissime-culle-antiche-in-vendita-online/
- https://molfettadiscute.altervista.org/ricordi-delle-prime-comunioni-di-una-volta/
- https://milocca.wordpress.com/2013/03/24/il-battesimo-di-una-volta/


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